La differenza di genere? Costa cara alle donne: anche in termini di occupazione, anche in termini di retribuzione, anche in termini di carriera. Direte: tutto ovvio, tutto noto, tutto scontato. Sì, ma ora ci sono, a confermare l’ovvio, impressionanti dati che più ufficiali non potrebbero essere: i ൞ Occasional papers” (Questioni di economia e di finanza) prodotti e diffusi dalla Banca d’Italia e frutto periodico di indagini multidisciplinari che intrecciano dati dell’Ufficio studi dell’Istituto di emissione, dell’Istat, della Confindustria, di altri organismi.
Il quadro è impressionante. Cominciamo dal tasso di occupazione femminile. Qui si saldano addirittura due elementi negativi: il costo della differenza di genere e, in più, le conseguenze dell’ancora crescente divario Nord-Sud. E infatti se questo tasso è pari al 55,5% al Centro Nord, esso crolla al 31,4% nel Mezzogiorno. Di più: il differenziale rispetto agli uomini si presenta più elevato nella classe di età 35-54 anni, ma è rilevante già tra i giovani poco dopo la laurea. Così, ad un anno dalla laurea (attenzione, laurea specialistica), è al lavoro il 63% dei maschi contro il 55,5 delle femmine. E il differenziale si riproduce esattamente nelle retribuzioni: ad un anno dalla laurea, gli occupati-ragazzi guadagnano in media il 32% in più delle loro colleghe (1.220 euro contro 924 mensili netti); a cinque anni il differenziale scende, ma di pochissimo: al 30% con 1.646 euro mensili netti contro 1.266. Aggiungo a quelli di Bankitalia un dato Istat: tra il 2008 e il 2012 sono stati persi 376mila posti di lavoro qualificati occupati da donne.
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